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Storia dell'igiene

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Mario P68
view post Posted on 14/1/2017, 19:18     +1   +1   -1




Ho messo 2 FONTI perchè credo si compeltino a vicenda
Fonte: www.laveracronaca.com/focus/1382-la...averso-i-secoli
Dall’antica civiltà minoica, con il sontuoso palazzo di Cnosso, alla reggia di Nestore, dalle terme romane fino alle vasche di Versailles, chi crede che l’uomo sia sempre stato confortato dalla cura dell’igiene personale commette un grave errore. Tra piacere e dovere, simbolo di purezza e pratica immorale, l’uso del bagno è stato oggetto di interminabili discussioni nel corso dei secoli, con ripercussioni enormi addirittura sulla salute pubblica.
Per gli antichi greci immergersi è un fatto naturale e all’ospite rappresenta un oltraggio negare un bagno, metafora propria di accoglienza. Ulisse appare al cospetto di Nausicaa dopo il bagno al fiume e sarà riconosciuto a Itaca dalla nutrice grazie al pediluvio eseguito dietro ordine di Penelope.
I romani, dal II secolo a. C. rafforzano questa pratica e grazie ai progressi della tecnica idraulica riempiono la città di fontane, bagni lussuosi, stazioni termali diffondendo una moda che ottiene presto l’appoggio sanitario. Il medico Asclepiade di Prusa enuncia infatti la capacità dell’acqua di espellere dal corpo gli umori delle malattie.

L 'igiene ai tempi dei Romani:

Agrippa rende gratuiti gli stabilimenti balneari e nel 33 d.C. a Roma se ne contano 170. Anche Nerone fa erigere sfarzose terme al Campo Marzio, a cui si aggiungono piscine scoperte, palestre, biblioteche ecc, fino alle celebri Terme di Diocleziano, dalla superficie di 150.000 metri quadrati e così in tutto l’impero. Ci si reca giornalmente, uomini e donne, schiavi e liberti, per una pausa puramente viziosa, deprecata unicamente dai filosofi.
Paradisi del corpo che prolificano fino al IV secolo. Caduto l’impero romano d’occidente, l’arrivo dei barbari segna la chiusura dei rubinetti. E anche il sofisticato sistema di riscaldamento idraulico va in rovina. Unica eccezione del periodo buio è Carlo Magno, maniaco della pulizia, che mantiene in funzione i lavacri di Aquisgrana. Qualche bagno in più se lo concedono i monaci e i malati; ancora non è del tutto persa la fiducia nel valore terapeutico dell’acqua.

Chiesa e concetto di pulizia:
La Chiesa infatti dimostra un rapporto ambivalente con la pulizia corporale. Da un lato l’igiene del corpo rispecchia quella dell’anima, dall’altro la pratica del bagno è vista come ricerca di voluttà. Venerata è per esempio sant’Agnese che nel corso della sua breve vita non si lavò mai. Tuttavia ai malati i medici consigliano le acque termali di romana memoria e la Chiesa non può avere nulla da ridire visto che sono di proprietà religiosa[1].
Della promiscuità nei bagni termali ne racconta l’umanista Poggio Bracciolini, durante il suo soggiorno a Baden nel 1416. Ciò che la Chiesa vieta è la frequentazione dei bagni pubblici, riaperti dal XII secolo grazie al ritorno dei crociati dalla Terra Santa, ispirati ai bagni turchi.
Calori e vapori certamente sinonimo di corruzione e tentazioni peccaminose, visto che a far da sfondo ai bagni seducenti ragazze preparano acque profumate e unguenti da massaggi. Il bagno dunque, rito salutare e piacevole, attraverso le maglie della morale cristiana, si carica di sensi colpa e sollecitazioni erotiche da annientare. Tuttavia tra il sacro e il profano l’aria è ancora respirabile.
E’ di nuovo nel 1500 che l’acqua viene considerata pericolosa perché si ritiene “aprisse i pori, consentendo così ai miasmi velenosi di penetrare all’interno del corpo, protetto dalla salutare pellicola di grasso e sudiciume”[2]. Addirittura l’acqua è considerata nemica della capacità riproduttiva dell’uomo e si crede ostruisca i pori, eviti la traspirazione e renda il sangue denso, provocando come conseguenza l'amenorrea, cioè la mancanza di mestruazioni. In questo modo si spiegano i disturbi delle lavandaie e delle contadine che lavorano nella macerazione della canapa e del lino.

La questione delle donne e dell'igiene:
L'igiene femminile è stata a lungo un parametro per dare giudizi sulla condotta morale delle donne: se sporche senz´altro oneste, se pulite di sicuro prostitute. Per le donne oneste infatti non c’è alcun bisogno di lavarsi, anzi, riservare cura al proprio corpo è considerato peccaminoso.
Per sopperire alla puzza tuttavia i ceti più alti scelgono alluvioni di profumi e frequenti cambi d’abito. Nei ceti più poveri invece il graduale aumento demografico rende insufficiente il rifornimento idrico e i fiumi cominciano già a essere inquinati. Iniziano le epidemie e l'acqua viene accusata di ogni nefandezza; fare il bagno debilita e la pulizia del corpo è affidata alla "pulizia secca", cioè al cambio dei vestiti, secondo il principio per cui una camicia pulita equivale ad un bagno.
In realtà poi alla paura di malattie si accompagna come visto la paura del peccato, in quanto l'igiene personale presuppone la vista ed il contatto con parti del corpo e quindi espone a gravissimi rischi morali.
Bisogna aspettare il ‘700 per una folata d’aria fresca. Il secolo di rivoluzione vede affacciarsi l’uso del bidet, invenzione tutta italiana, che però mantiene quell’aurea di peccaminosità in quanto oggetto per lo più rivolto alle amanti. Tuttavia l’amore per i cosiddetti effluvi naturali permane. “Le donne con abbondante sudorazione esercitavano un gran fascino su Casanova, così come, prima di lui, su Enrico IV di Francia, ed è noto che Napoleone esortava Giuseppina ad astenersi dall’acqua prima degli incontri d’amore”[3].
Mode dall'Oriente: bagno turco e non solo

I viaggiatori dall’oriente riportano comunque la moda del bagno turco e come al tempo dei crociati parte dai bordelli la rivincita dell’acqua. Londra è la prima città in Europa a coprire i canali di scolo, a portare l’acqua ai piani alti e a dotarsi di un sistema fognario.
Nelle città la mortalità diminuisce. In ambito medico ci si interroga su come si sia potuto credere alla pericolosità dell’acqua. Inizia progressivamente a ricomparire nelle case la stanza da bagno così come inizia a farsi spazio il concetto sociale della puzza, considerandolo dunque come possibile fastidio verso il prossimo.
Altro fattore determinante successivo sono le scoperte di Koch e Pasteur sulla microbiologia. Fino ad allora gli scienziati sono convinti che a essere pericolosi siano gli odori stessi della putrefazione, non i batteri che si sviluppano.
Segue dunque una profonda azione di bonifica che coinvolge cimiteri, pozzi, discariche e i luoghi a rischio -come carceri e ospedali- vengono irrorati con acqua di calce e acido muriatico che hanno il potere di distruggere gli odori e –allora sconosciuto– annientare i batteri.
L'igiene nei tempi moderni:

Nell’800 dunque l’alta società si lava e incipria e il bagno torna ad essere tempio di seduzione. Le classi lavoratrici puzzano ma è considerata una caratteristica di default.
Saranno le epidemie di colera che affliggono Londra a metà del XIX secolo a far ripensare agli amministratori al concetto di igiene per i quartieri popolari. Motivo non è l’umana compassione ma il contagio che si propaga fino ai palazzi dei ricchi. Piano piano il numero di bagni pubblici nelle città inizia ad aumentare.
E’ con il moltiplicarsi delle case popolari concepite razionalmente con stanze da bagno all’interno delle abitazioni che si diffonde in massa la prassi della doccia dopo lavoro tra gli operai. Resistenze si trovano nelle campagne dove, oltre alle difficoltà oggettive nel diffondere la rete idrica, l’odore del proprio clan familiare è ritenuto rassicurante.
Nonostante i grandi progressi tuttavia permangono ancora oggi individui che mostrano avversione all’acqua. Fortunatamente però essi non rappresentano un pericolo per la salute pubblica.


Fonte: www.focus.it/cultura/storia/la-storia-delligiene
La storia dell'igiene
L’uomo ha sempre cercato la pulizia, ma il concetto di sporcizia è molto cambiato nei secoli.
Una casa di Amsterdam ritratta dal pittore Pieter de Hooch nel 1664. Le case olandesi in questo secolo erano un modello di ordine e pulizia... ma i parassiti restavano un problema. E le madri dovevano spidocchiare i figli.

La lotta alla sporcizia è sempre stata un impegno quotidiano, per il corpo e per la casa, anche quando questa era una caverna. Pure gli animali, del resto, sanno pulire. Tane e nidi vengono spesso sgombrati da deiezioni e avanzi di cibo. I felini si lavano leccandosi, gli elefanti fanno la doccia con la proboscide. Gli uccelli si bagnano e si lisciano le penne a lungo. Gli scimpanzé si puliscono il pelo reciprocamente (un comportamento definito grooming ), passando in questo modo circa un quinto della loro vita.

PUNTI DI VISTA. Pulire e pulirsi sembra proprio un dovere, in natura. In un saggio dell’antropologa Virginia Smith (Clean, A History of Personal Hygiene and Purity, Oxford University Press) si argomenta che noi umani sin dalla preistoria ci adoperiamo per allontanare rifiuti e altri maleodoranti materiali, provvedendo a controllare sia l’aspetto sia l’odore che emettiamo, in un istintivo bisogno di sentirci puliti. Ma non sempre abbiamo avuto una visione univoca su che cosa sia “sporco”. E non sempre, nella storia dell’igiene, acqua, sapone e disinfettanti furono rimedi riconosciuti. I Greci e i Romani, per esempio, non usavano il sapone, ma uno strumento di legno per raschiare la pelle (lo strigile), pur ricorrendo a frequenti bagni e oli profumati.

Dal Rinascimento fino all’Illuminismo, in Europa l’uso dell’acqua per bagnarsi era scoraggiato o addirittura vietato dai medici: l’acqua, secondo loro, apriva i pori della pelle attraverso i quali potevano entrare gravi malattie. Se un bagno veniva concesso, era poi consigliato un giorno di riposo a letto per recuperare il presunto indebolimento del corpo.

Nel Medioevo, in assenza del water, lusso della modernità, il vaso da notte era svuotato in strada. Nella xilografia, in testa ad alcuni cantori.
FILOSOFI E PULIZIA. All’epoca, in Europa, si faceva largo uso di profumi e ci si puliva “a secco”, con crusca, sabbia e cipria, mentre gli indios dell’Amazzonia si curavano la pelle con la cenere e andavano allegramente in acqua, e gli Arabi avevano da tempo inventato il sapone moderno a base di soda caustica e salvato la tradizione romana dei bagni e delle latrine pubbliche, oltre agli scritti dei filosofi greci.

Questi filosofi avevano da parte loro inventato molto anche nel campo dell’igiene. Aristotele, per esempio, nella Costituzione degli Ateniesi, parla dell’esistenza di un “assessorato” che dirigeva il lavoro dei coprologi, gli spazzini di allora, che avevano il compito di portare i rifiuti ad almeno due chilometri dalla città, liberando il centro urbano del suo principale problema: l’accumulo d’immondizia nelle vie. Un po’ come oggi a Napoli, l’antica Neapolis fondata dai Greci che, paradosso storico, presenta nei suoi sotterranei prove schiaccianti di abilità nella costruzione di cisterne e reti idriche; Napoli fu insomma fra le prime città a dare un importante contributo alla storia dell’igiene.
La storia alla toilette: le invenzioni geniali che ci hanno cambiato la vita

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Furono poi i Romani che, con acquedotti e terme, misero in pratica le raccomandazioni sull’igiene di esperti greci come Ippocrate, Erodico e Galeno. Solo a Roma, 2.000 anni fa, 11 acquedotti portavano ogni giorno un miliardo di litri d’acqua corrente e garantivano a più di un milione di persone di bere, lavarsi ed espletare in sicurezza i propri bisogni fisiologici.

In un’altra città romana, Pompei, si può ancora vedere come sia relativo a volte il rapporto con la sporcizia. Fra i resti preservati dalle ceneri del Vesuvio, s’incontrano spesso anfore semi-interrate: il viandante del 79 d. C. era invitato a chiare lettere latine a utilizzarle come orinali. L’urina umana era molto ricercata perché veniva utilizzata dai fulloni per conciare le pelli a causa del contenuto di ammoniaca. Il rapporto con la pipì era così proficuo, per gli artigiani di concerie e tintorie, che l’imperatore Vespasiano decise di mettere una tassa sull’urina. Alle proteste in difesa della gratuità di questo semplice rifiuto corporeo, lui rispose con la storica frase: pecunia non olet (i soldi non puzzano).

Berna, 1790: prostitute puliscono le strade della città.
SPORCIZIA DA NASCONDERE. Il nostro rapporto nel tempo e nello spazio con la sporcizia è davvero mutevole. In effetti, a sporcizia è vista nelle varie culture umane come “materia fuori posto”. Lo sporco insomma stona, puzza, guasta l’ordine e la simmetria, a prescindere dalla sua pericolosità. Una conseguenza di questo relativismo antropologico, unito alla povertà, è che, con buona pace di Vespasiano, oltre due miliardi e mezzo di persone ancora oggi non hanno un water o una latrina.

SOLDI DALLO SPORCO. Lo stesso relativismo spiega anche tante contraddizioni. Per esempio, fra la cura maniacale dell’igiene con cui venivano tenute le case olandesi nel XVII secolo e le pessime condizioni in cui versava Londra a metà dell’Ottocento, in particolare il quartiere di Soho, sconvolto da un’epidemia di colera imputata dagli esperti vittoriani ai miasmi dell’inquinamento industriale. Miasmi che dovevano per forza essere tollerati, secondo i capitalisti di allora, che allargavano le braccia:“pecunia non olet”.

Altro esempio: il contrasto fra l’organizzazione dei consumisti Stati Uniti, che per smaltire l’immondizia hanno prodotto la discarica più grande del mondo, la Fresh Kills di Staten Island (tre volte il Central Park per estensione e più alta della Statua della Libertà), e l’arretrata situazione igienica nell’India moderna. Dove gli escrementi umani non finiscono in reti fognarie, ma spesso si accumulano a secco nelle case, in tanti letamai domestici.

GIÀ IMPURI. Gli intoccabili , cioè i fuori casta, si occupano di rimuovere con le mani gli escrementi, secondo una tradizione che prevede l’ingaggio soprattutto di donne in giovane età. Gli intoccabili coinvolti in questa occupazione, circa un milione, non subirebbero alcun danno secondo la tradizione, perché già impuri. È un esempio di trasferimento del concetto di sporcizia dalle cose alle persone.

Gli spazzini dell’India sono gli intoccabili: “impuri” che anche a mano tolgono gli escrementi da case e strade.
Anche la tradizione giudaico-cristiana a suo tempo lo ha fatto, ricorrendo ai principi di “mondo” e “immondo”, puro e impuro. Dice la Bibbia: «Il Signore aggiunse a Mosè: “Riferisci agli Israeliti: quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio sarà immonda per sette giorni (…) poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi del suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario (…). Ma se partorisce una femmina sarà immonda due settimane; resterà sessantasei giorni a purificarsi del suo sangue”» (Levitico 12).

Una emarginazione implacabile riguardava poi i malati di lebbra. «Il lebbroso porterà vestiti strappati e il capo scoperto, si coprirà la barba gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; abiterà fuori dall’accampamento» (Levitico 13). I lebbrosi venivano dichiarati immondi dopo la visita di un sacerdote, che fungeva in pratica anche da medico per la diagnosi di molte malattie che comportavano lo status di immondo. I sacerdoti vigilavano anche sulle disposizioni di Jahvè sui cibi, primo fra tutti il maiale, sporco e immangiabile. Per i cristiani, poi, divenne pratica quotidiana la purificazione (pulizia) interiore dai peccati con preghiere e penitenze.

SANITÀ RELIGIOSA. In generale sono state le religioni i primi “ministeri della sanità”, con prescrizioni sulla pulizia del corpo (comprese le abluzioni rituali), sul consumo dei cibi, sull’isolamento di malati infettivi. Se lo diceva un dio… il divieto era di sicuro effetto. Ma l’antropologo americano George Harris, nel libro Buono da mangiare, ha spiegato che, per esempio, il qualificare un cibo mondo o immondo aveva spesso un motivo pratico: allevare maiali sarebbe stato un suicidio ecologico per gli Israeliti che abitavano zone di pascolo precarie, dato che questi animali scavano e sradicano tuberi e piante. Il problema non esisteva invece in Cina, dove l’ambiente boscoso di allora tollerava l’impatto ambientale del maiale. Il suino era lì considerato ottimo e anche simpatico. Più vicino a noi, il dio celtico Lug veniva rappresentato con un cinghiale, ad anticipare il successo della sua versione domestica (il maiale) nel Centro Europa, dove abbondavano le foreste.

Ci sono voluti secoli per capire quali agenti nella “materia fuori posto” fossero nocivi per la salute. Ci si copriva con vestiti stretti, lasciando scoperti solo viso e mani per timore che le malattie, come spiriti maligni, passassero attraverso la pelle. Si pensava che i parassiti si generassero dalla sporcizia, come dire che dalla materia inanimata si ripetesse il fenomeno planetario della nascita della vita.

VERSO LA SCIENZA. Un passo decisivo venne compiuto con la scoperta dei batteri e l’uso del fenolo. Quando il chirurgo Joseph Lister arrivò a Glasgow, nel 1861, secondo il Royal Infirmary, il 90% dei casi di fratture (frequenti fra gli operai di una città industriale) finiva con l’amputazione. Molti morivano di febbre post-operatoria. Lister notò che la cancrena raramente si presentava fuori dagli ospedali. Non doveva quindi dipendere dai “gas venefici” indicati dalla teoria del miasma, ma da qualcosa che la trasmetteva da un paziente all’altro: fasciature usate, ferri chirurgici, le stesse mani dei medici.

SCOPERTA RIVOLUZIONARIA. Il francese Louis Pasteur dimostrò poi come la fermentazione di liquidi fosse legata ai batteri e come la bollitura fosse capace di bloccarla. Lister intuì che nelle ferite avveniva qualcosa di simile: se il calore bloccava la fermentazione, che cosa poteva impedire la putrefazione? Lister usò il fenolo (deodorante per le fogne). Fu un successo, che pubblicò sulla rivista The Lancet il 16 marzo 1867. Questo metodo, detto antisettico, e la disinfezione degli attrezzi chirurgici dimostrarono il valore dell’igiene su base “scientifica”. A Dresda nel 1911 la prima mostra sull’igiene attirò 5 milioni di persone.

Edited by *La Guerriera della Luce - 14/1/2017, 19:19
 
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